I casi di censura, boicottaggio e attacchi sempre più spietati contro l’informazione indipendente si fanno ormai quotidiani.
La creazione di una sorta di “terrore sanitario” sta diventando il grimaldello per scardinare le libertà individuali, stringere le maglie del controllo sociale e oscurare il dissenso.
Nelle ultime settimane si è parlato persino di “censura costruttiva” per rendere civile il dibattito, volta in realtà a salvaguardare la collettività dal pericolo che le idee alternative infettino il resto della società.
Nella società del politicamente corretto coloro che non si allineano al pensiero unico vengono da tempo denigrati, perseguitati e marchiati con etichette diverse tuttavia sempre denigratorie, per incasellare appunto il dissenso; ora però, a quest’opera capillare di discredito, si affianca il tentativo di curare i dissidenti per riportare costoro sul giusto binario e poterli riaccogliere nella società.
Ci dobbiamo chiedere se la biosicurezza e la psicopolitica non stiano tentando di patologizzare il dissenso, per poter intervenire in maniera coatta e creare un pericoloso precedente: trattare e ospedalizzare i dissidenti.
Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo assistito a inquietanti precedenti, dalla creazione della nuova espressione “sovranismo psichico” alla proposta di una ricercatrice dell’Istituto italiano di tecnologia di utilizzare scariche elettriche o magnetiche per influenzare il cervello e curare gli stereotipi e i pregiudizi sociali.
Per Galimberti i negazionisti sono “pazzi”
Ultimo esempio in ordine di tempo di patologizzazione del dissenso sono state le dichiarazioni del filosofo Umberto Galimberti che, ospite della trasmissione Atlantide su La7, ha equiparato i negazionisti del Covid ai pazzi:
«I negazionisti hanno paura della paura. Più che paura provano angoscia. Perdono i punti di riferimento. E arrivano a essere dei deliranti Il negazionismo è una forma di contenimento dell’angoscia […] Coi pazzi non è facile ragionare. Si può persuadere chi nega la realtà che la realtà è differente? Molto difficilmente».
La sua esternazione non è isolata: negli ultimi mesi si sta cercando di indurre l’opinione pubblica a sostenere l’equiparazione tra negazionisti (ma anche complottisti e NO Vax) ai pazzi, che andrebbero quindi sottoposti a cure psichiatriche per poter essere riaccettati in seno alla società.
Alla luce dei casi di Tso a Dario Musso e all’avvocatessa di Heidelberg, Beate Bahner, molto critica con le misure prese dal governo per la quarantena da Coronavirus, il tentativo di psichiatrizzare i dissidenti dovrebbe sollevare l’indignazione e la preoccupazione non solo degli addetti ai lavori ma della popolazione.
Il problema di fondo è che sotto l’etichetta denigratoria di “negazionista” ma anche “complottista” rientra chiunque critichi la versione ufficiale della narrativa mainstream o si permetta di dissentire dai provvedimenti governativi bastai sul biopotere.
Curare il dissenso
Ci troviamo di fronte a un atteggiamento paternalistico, autoritario e scientista del potere che mira a ottenere cieca obbedienza da parte dei cittadini e nel caso che questi si rifiutino di sottomettersi in modo acritico, di poter correggere il comportamento e il pensiero di costoro attraverso la psichiatria o la tecnologia.
Il totalitarismo dei buoni sentimenti (“buoni” solo in apparenza) ha i suoi cani da guardia pronti a riportare all’ovile chiunque dissenta od osi manifestare pubblicamente dei dubbi. Oggi la psicopolizia sembra pronta a elaborare nuovi strumenti degni di una psicodittatura.
Si vuole neutralizzare la coscienza critica e censurare qualunque forma di dissidenza. Chi dissente va censurato, deve arrivare a vergognarsi non solo di quello che ha detto ma di quello che ha “osato” pensare.
Potrà pertanto essere riaccettato nella comunità solo a patto di umiliarsi, di chiedere pubblicamente perdono, di sottoporsi a cure psichiatriche per guarire da una malattia che il totalitarismo progressista spera di curare: pensare in modo libero e critico.