Oggi da Pavia arriva una notizia confortante nella lotta contro il Covid-19 e che tende a riabilitare quei ricercatori (medici e scienziati) che dall’inizio della pandemia hanno provato a ipotizzare una correlazione tra livelli di vitamina D e l’infezione ma che per questo sono stati denigrati e boicottati dai media mainstream.
Per mesi, infatti, la narrazione mainstream ha tentato di derubricare tali ricerche nel campo della “pseudoscienza”.
Un gruppo di clinici e ricercatori del Policlinico San Matteo di Pavia ha infatti studiato la correlazione tra la vitamina D e il Covid-19 (leggi articolo).
Il lavoro è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Clinical Nutrition” e porta la firma del prof. Riccardo Caccialanza, direttore dell’Unità di Nutrizione Clinica, e dei suoi collaboratori.
Lo studio, condotto nel periodo tra marzo e aprile su 129 pazienti ricoverati, ha cercato di individuare la prevalenza della carenza di vitamina D, ponendola in correlazione con gli esiti clinici e i marker di gravità della malattia da Covid-19.
I ricercatori hanno rilevato
Lo studio, approvato dal Comitato etico, ha fotografato i seguenti fattori nei pazienti, al momento del ricovero:
- la prevalenza della carenza di vitamina D
- l’associazione tra lo stato della vitamina D e gli esiti clinici (come polmonite grave, ricovero in unità di terapia intensiva e mortalità intraospedaliera) e marcatori biochimici di gravità della malattia (come, ad esempio, conta dei linfociti, proteina C-reattiva).
Va però ancora valutata se l’adeguatezza della vitamina D possa prevenire l’infezione da Covid-19 o influenzare gli esiti clinici.