Potremmo considerarlo la Cenerentola dei farmaci per la cura del Covid-19. L’idrossiclorochina, farmaco usato da oltre un secolo per il trattamento della malaria e di altre patologie, è da mesi al centro di diatribe, polemiche, scandali e falsi studi pilotati volti a screditarne l’efficacia.
Dopo lo scandalo Surgisphere, che analizzeremo tra poco, l’idrossiclorochina è tornata alla ribalta, protagonista di un’ennesima campagna volta a demonizzarne l’utilizzo, sebbene la Cina abbia inserito il farmaco nelle linee guida per il trattamento dei pazienti affetti da Covid-19 ed esistano 156 studi da cui si evince il suo funzionamento, soprattutto nell’utilizzo precoce.
Non solo, perché uno studio italiano effettuato su 3.500 pazienti e uno belga condotto su oltre 8 mila pazienti arrivano alle stesse conclusioni: il farmaco riduce la mortalità del 30%.
Una questione “politica”
Eppure si moltiplicano gli articoli volti a denigrarne l’utilizzo, mostrando come,il dibattito sull’efficacia del farmaco non sia più una questione scientifica ma semmai “politica”.
Tutto è partito con il tentativo di ridicolizzare Trump, uno dei principali sostenitori dell’idrossiclorochina, dopo che questi aveva sospeso i finanziamenti americani all’OMS, come se il farmaco fosse una sua esclusiva o “roba da sovranisti”.
Andrea Savarino, il ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità che per primo nel 2003 propose l’uso della idrossiclorochina/clorochina contro Sars1, ha pubblicato su una rivista del gruppo Springer Nature un modello matematico che simula la risposta dell’organismo ai farmaci anti-Covid, e in un’intervista a Peter D’Angelo ha spiegato che alla base della demonizzazione del farmaco troviamo una forma di “isteria collettiva” che ha
«ha contaminato il dibattito sui protocolli sull’idrossiclorochina. Non vi è alcunché di scientifico, ma, ahimè, è così».
L’idrossiclorochina e lo scandalo Surgisphere
Come anticipato, nei mesi l’idrossiclorochina è stata al centro di polemiche e scandali.
Il 4 giugno 2020 «The Lancet» aveva infatti ritrattato lo studio statistico sull’idrossiclorochina, sulla cui base l’OMS aveva bloccato i trial con il farmaco e la FDA e altri enti statali avevano raccomandato di non impiegare più l’idrossiclorochina per il trattamento dei malati di Covid-19.
Nello studio, il cui autore principale della ricerca era il professor Mandeep Mehra, emergeva come l’idrossiclorochina, non solo non apportasse alcun beneficio ai malati da Covid-19 ma addirittura aumentasse il rischio di morte per i pazienti (leggi articolo).
Il 26 maggio ancora Andrea Savarino, insieme a Roberto Cauda (Direttore Malattie Infettive del Gemelli) e ad Antonio Cassone (ex direttore del Dipartimento Malattie Infettive di Iss), aveva denunciato che lo studio a suo dire conteneva al suo interno molte incongruenze: «Ho subito notato un errore grossolano di statistica» e ne aveva spiegato i motivi in un’altra intervista a Peter D’Angelo.
Il 29 maggio, 120 ricercatori di tutto il mondo avevano scritto una lettera all’editore di «Lancet», mettendo in discussione la validità della pubblicazione perché nello studio erano stati usati “dati” provenienti da una controversa società di Chicago, la Surgisphere.
Le incongruenze dello studio pubblicato su Lancet
Lo studio contiene incongruenze macroscopiche nella metodologia di raccolta e trattamento dei dati, di cui si erano occupati ricercatori da Birmingham e del Women’s Hospital di Boston, assieme alla società di analisi Surgisphere Corp.
I primi a ritirare le firme sono stati 3 autori su 4 dello studio: tutti i coautori del paper (Mandeep Mehra del Brigham and Women’s Hospital di Boston, Frank Ruschitzka dello University Hospital di Zurigo e Amit Patel della University of Utah).
«Dopo la pubblicazione del nostro articolo su “Lancet”, sono stati sollevati diversi dubbi in merito alla veridicità dei dati e delle analisi condotte da Surgisphere Corporation», hanno ammesso nella loro ritrattazione gli autori dello studio. Questi ultimi hanno anche spiegato di aver intrapreso una revisione indipendente dei dati raccolti.
L’unico a non aver ritrattato è stato il fondatore e Ceo di Surgisphere, Sapan Desai. Lo studio su Lancet utilizzava i registri ospedalieri procurati dalla Surgisphere (https://surgisphere.com/), fondata nel 2007 da Desai.
Lo scandalo Surgisphere
Peter D’Angelo spiega come negli anni Desai abbia aperto e chiuso e ancora riaperto diverse società con nome simile, “Surgisphere”:
«Un’altra società a nome di Sapan Desai, Surgisphere Corporation, è stata fondata il 28 giugno 2012 e poi sciolta nel gennaio 2016 è stata creata l’8 aprile 2008 e chiusa il 22 ottobre 2015. Le società sono state create e cancellate più volte in vari Stati, sempre con lo stesso nome. Surgisphere, sebbene specializzata in big data, nell’uso dell’intelligenza artificiale nell’analisi dei dati, non ha molte tracce online. Il dominio del sito Surgisphere è stato registrato nel 2007, ma dà l’impressione di non avere grandi attività tra il 2013 e il 2020. Se si fa una verifica su Wayback Machine (l’archivio di internet, dove viene tracciato ogni sito dalla nascita) non appare nessuna cronologia passata. Sul sito della società, nella sezione “eventi” risulta un unico evento fissato a settembre 2020. Su Linkedin, la società risulta avere quattro dipendenti, il General Manager e il Vicepresidente, entrambi arrivati a marzo 2020 e aprile 2020, mentre non ci sono informazioni sullo science editor».
L’inchiesta del Guardian
In un’inchiesta del «Guardian» sono emersi diversi elementi ambigui sull’azienda, in particolare che nello staff della Surgisphere figurano anche «uno scrittore di fantascienza e una modella di riviste per adulti». La società «fino ad ora non ha fornito spiegazioni sui dati o sulla metodologia applicata».
L’indagine del Guardian, in estrema sintesi, ha evidenziato i seguenti punti:
- i dipendenti di Surgisphere non hanno nessun background scientifico e statistico, ma menzionano competenze in strategia, copywriting, leadership e acquisizione
- La pagina LinkedIn dell’azienda ha meno di 100 follower e la scorsa settimana elencava solo sei dipendenti, dato poi modificato il mercoledì successivo in 3 dipendenti.
La raccolta dei dati vantati dall’azienda richiederebbe molti più dipendenti o collaboratori per analizzare i dati di 96.000 pazienti in 1.200 ospedali in tutto il mondo. - Contattato dal Guardian, Desai ha spiegato che la sua compagnia impiegava solo 11 persone.
I dipendenti elencati su LinkedIn sono stati registrati sul sito come iscritti a Surgisphere solo due mesi fa. - Surgisphere non ha quasi alcuna presenza online. Il suo handle di Twitter ha meno di 170 follower, senza post tra ottobre 2017 e marzo 2020.
- Fino a lunedì, il link “mettiti in contatto” sulla homepage di Surgisphere reindirizzava a un modello WordPress per un sito Web di criptovaluta, sollevando leciti dubbi su come gli ospedali potessero contattare l’azienda per accedere al suo database.
- Desai è stato nominato in tre cause di negligenza medica, estranee al database Surgisphere.