Negli ultimi mesi assistiamo alla denigrazione capillare e costante dell’unico Paese che non ha adottato il lockdown, con la conseguente e capillare limitazione dei diritti civili e la distruzione delle economie: la Svezia. Ne è scaturito un atteggiamento di diffidenza mediatico nei confronti del modello svedese con una conseguente descrizione di un Paese che, pentito, avrebbe ripensato il suo modello, alla luce di dati che darebbero torto alla strategia adottata.
Seguendo questa direzione, i media hanno dato notevole risalto alle parole del re di Svezia, Carl XVI Gustaf, in merito alla strategia del governo di contrasto al Covid. Nel tradizionale discorso di fine anno, infatti, il re ha ammesso: «Il 2020 anno terribile. Abbiamo avuto molti morti, a cui è stato difficile dire addio».
I media hanno però estrapolato le dichiarazioni del sovrano e le hanno legate alla mancata decisione di adottare il lockdown come negli altri Paesi, in quanto da mesi si cerca di additare la Svezia scandivano come un pessimo esempio da non seguire.
Il re, invece, ha biasimato la strategia riguardante le case di cure, soffermandosi sull’abbandono degli anziani a cui non si è nemmeno riuscito a riuscire «a dare un addio caloroso» e all’alto numero di morti tra questi.
Recentemente si è anche parlato di un “collasso delle terapie intensive” piene al 99% quando, andando a leggere gli stessi articoli di stampo terroristico, si scopre che, da quanto riferito da The Local Sweden a Svenska Dagbladet, il 9 dicembre scorso nella regione di Stoccolma c’erano 83 pazienti con Covid-19 nei reparti di terapia intensiva della regione, su un totale di 160 posti! (leggi articolo).