La vitamina D diminuisce il numero di decessi per Covid-19 in pazienti con comorbidità (ossia con la coesistenza di più patologie diverse) e in particolare migliora il decorso della malattia diminuendo i trasferimenti in terapia intensiva per chi è colpito dal virus Sars-CoV-2 (leggi articolo).
A stabilirlo sono i risultati del primo studio italiano pubblicato su “Nutrients” coordinato dall’Università di Padova. Il team di ricercatori, che vede coinvolte le Università di Parma, di Verona e gli Istituti di Ricerca Cnr di Reggio Calabria e Pisa, guidato dal professor Sandro Giannini dell’Università di Padova ha evidenziato scientificamente l’effettivo ruolo della vitamina D sui malati di Covid-19.
La notizia confortante nella lotta contro il Covid-19 riabilita finalmente quei ricercatori (medici e scienziati) che dall’inizio della pandemia hanno provato a ipotizzare una correlazione tra livelli di vitamina D e l’infezione ma che per questo sono stati denigrati e boicottati dai media mainstream. Per mesi, infatti, la narrazione mainstream ha tentato di derubricare tali ricerche nel campo della “pseudoscienza”. Ancora l’8 gennaio Repubblica minimizzava sugli effetti della Vitamina D parlando solo di “ipotesi” non suffragate da studi clinici.
Persino il Ministero della Salute sul suo sito, nella sezione dedicata alla disinformazione, considera ancora una fake news il fatto che la vitamina D protegga dall’infezione dal Covid-19. Riprendendo la circolare ministeriale del 30 novembre 2020, sul sito leggiamo:
Non ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus. La Circolare del 30 novembre 2020 del ministero della Salute “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2” sottolinea che “non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato”.
Rimando al commento video di Matteo Gracis in proposito.
Eppure, molti lavori e studi scientifici nell’ultimo anno hanno associato la carenza della vitamina D nel nostro organismo a una maggiore esposizione alla malattia e alle sue manifestazioni cliniche più aggressive.
Già qualche settimana fa un gruppo di clinici e ricercatori del Policlinico San Matteo di Pavia aveva studiato la correlazione tra la vitamina D e il Covid-19 (leggi articolo).
Il lavoro era stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Clinical Nutrition” e porta la firma del prof. Riccardo Caccialanza, direttore dell’Unità di Nutrizione Clinica, e dei suoi collaboratori.
Lo studio, condotto nel periodo tra marzo e aprile su 129 pazienti ricoverati, ha cercato di individuare la prevalenza della carenza di vitamina D, ponendola in correlazione con gli esiti clinici e i marker di gravità della malattia da Covid-19.
Una recente ricerca francese aveva invece suggerito che la terapia con colecalciferolo (vitamina D3), assunta nei mesi precedenti il contagio, potesse favorire un decorso meno critico in pazienti anziani fragili affetti da Covid-19. Lo studio mostra come la somministrazione di vitamina D in soggetti affetti da Covid-19 con comorbidità abbia potenziali effetti positivi sul decorso della malattia:
“I pazienti della nostra indagine, di età media 74 anni – spiega il prof. Sandro Giannini dell’Università di Padova – erano stati trattati con le associazioni terapeutiche allora ausate in questo contesto e, in 36 soggetti su 91 (39.6%), con una dose alta di vitamina D per 2 giorni consecutivi. I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non erano stati trattati con vitamina D”.
Lo studio aveva l’obiettivo di valutare se la proporzione di pazienti che andavano incontro al trasferimento in Unità di Terapia Intensiva e/o al decesso potesse essere condizionata dall’assunzione di vitamina D.