Siti di debunking: chi sono davvero i cacciatori di bufale, chi li finanzia e quali tecniche utilizzano

Siti di debunking: chi sono davvero i cacciatori di bufale, chi li finanzia e quali tecniche utilizzano

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I cacciatori di bufale, fact checkers e debunkers, sono davvero indipendenti?

Negli ultimi anni debunkers e fact checkers si sono ritagliati un ruolo di primo piano nella lotta al contrasto delle fake news, finendo per collaborare con movimenti, partiti, esponenti politici e giornalisti ed entrando persino nelle task force atte allo smascheramento della disinformazione on line. In questo modo si è creata una mitologia e una liturgia su queste figure, facendole assurgere all’Olimpo dei professionisti dell’informazione.

I fact checkers sono stati persino proposti al Nobel per la Pace da una parlamentare norvegese, Trine Skei Grande, ex leader del Partito Liberale:

«Viviamo in un’epoca in cui combattere le bugie è così importante che Joe Biden ne ha parlato nel suo discorso – ha spiegato – Quest’anno ho proposto i fact checkers per il Premio Nobel per la Pace. Hanno bisogno del nostro sostegno».

 

La task force sulla disinformazione

Nel nostro Paese alcuni “sbufalatori” sono stati coinvolti nell’Unità per il monitoraggio contro la diffusione delle fake news che era stata ufficializzata dall’ex sottosegretario Andrea Martella, con delega all’informazione e all’editoria, nell’aprile del 2020 ad Agorà Rai Tre:

“Si tratterà di un organismo molto snello, molto smart, collegato ai cittadini, che servirà per smontare e smascherare queste notizie false che possono determinare un danno alla nostra società, alla coesione sociale, vorrei dire anche alla qualità stessa della democrazia”.

La battaglia mainstream contro le fake news, sfruttando l’attuale emergenza sanitaria, ha portato prima alla costituzione di questa sorta di Miniver orwelliano, successivamente alla Commissione parlamentare sulle fake news.

L’iniziativa punta a strumentalizzare il dilagare di bufale sul web per portare all’approvazione di una censura della Rete e più in generale dell’informazione indipendente, arrivando a ipotizzare l’introduzione di sanzioni, come dichiarato dallo stesso sottosegretario in un’intervista ad Articolo 21, come spiegavo in questo articolo.

 

Le notizie col bollino

Questa task force, come tutte le iniziative simili che seguiranno, ha infatti l’obiettivo non di garantire una informazione migliore, ma la creazione di un’informazione certificata: si vuole che il pubblico faccia esclusivo riferimento alle notizie con il bollino dei cosiddetti “professionisti dell’informazione”.

In base al principio di autorità, si vuole imporre come affidabile esclusivamente l’informazione mainstream, escludendo dal dibattito e progressivamente dalla rete l’informazione indipendente.

Per fare ciò si utilizzano i fact checkers e i debunkers che, invece di ricercare in modo obiettivo la verità e verificare i fatti, come dei novelli Torquemada, si accaniscono contro i “disallineati”, cioè coloro si pongono in modo alternativo rispetto al pensiero unico e al catechismo dei media di massa.

Si parte sempre dalla censura dei personaggi controversi o dei casi limite, che tendono a polarizzare e a dividere, che difficilmente la collettività difenderà, per andare a salire e allargare il proprio raggio di azione.

Lo scopo di questa operazione è la legittimazione morale della censura: negli ultimi anni, infatti, si sta cercando di giustificazione agli occhi dell’opinione pubblica una sorta di “censura costruttiva” con lo scopo di tutelare la collettività dalla minaccia delle disinformazione, portando così a oscurare sempre più pagine social, video, siti e blog di pensatori scomodi.

 

L’obiettivo dei debunkers è l’informazione indipendente

Pertanto, nel mirino di debunkers e fact checkers rientrano i giornalisti e ricercatori indipendenti: l’azione di verifica dei fatti, come vedremo, non si concentra sull’informazione in generale, ma si focalizza sull’informazione alternativa, puntando a screditarla e a liquidarla come una accozzaglia di fandonie, mentre le fake news dei media mainstream vengono di fatto “protette”: sono rari, infatti, i casi in cui i fact checkers dedicano tempo e articoli a sburgiardare anche gli articoli e i servizi televisivi dei “professionisti dell’informazione”. Compito che invece si pone il team di NoBufale.it (lista esposti e denunce).

Pensiamo, per esempio, alle recenti fake news diffuse dal Tg1 e dal TgLa7 che sono state totalmente ignorate dai debunkers.

Gli stessi, inoltre, hanno per mesi denigrato come ciarlatani e pseudoscienziati quei medici e scienziati che parlavano dell’importanza della vitamina D nella prevenzione e cura della Covid-19 come abbiamo spiegato in questo articolo. Sebbene siano stati smentiti dalla scienza, non si sono premuniti di dare spazio a notizie così importanti.

Similmente si sono volute boicottare, anche attraverso l’opera di debunking, le cure alternative per la Covid-19. Un esempio su tutti, la demonizzazione della idrossiclorochina: si è dato ampio risalto ai falsi dati sulla tossicità della molecola e allo studio pubblicato su The Lancet e quando questo è stato ritirato, in seguito allo scandalo Surgisphere si è preferito ignorare il caso e nasconderlo all’opinione pubblica (leggi articolo).

Il caso Facta vs RecNews

Come anticipato, i ricercatori indipendenti si trovano a dover fronteggiare gli attacchi costanti di debunkers che alterano spesso la realtà, avvelenando la verità e screditando il lavoro dell’informazione indipendente.

RecNews ha pubblicato un articolo a cura di Zaira Bartucca, in cui si risponde punto per punto a un pezzo di Facta contro il sito dal titolo “No, il governo israeliano non dovrà rispondere di «crimini contro l’umanità» per la campagna di vaccinazione” mostrandone la faziosità e i numerosi errori.

Il contenuto dell’articolo di RecNews preso di mira da Facta è però corretto così come le fonti e i documenti citati: pertanto RecNews ha inviato una richiesta di rettifica che è stata ignorata.

Commenta Bartucca:

“Sappiamo già, comunque, qual è l’abitudine di questi siti che non contrastano la disinformazione ma la propagano: ignorare ogni contraddittorio e ogni rettifica”.

 

Chi finanzia Facta e Poynter Institute?

Facta, su impulso dell’Autorità Garante nelle Comunicazioni, è un progetto pilota firmato Facebook e Pagella Politica per il contrasto alla disinformazione sul coronavirus.

Non si tratta del classico sito web di fact-checking journalism: ha infatti un  numero WhatsApp a cui chiunque può segnalare notizie riguardanti la pandemia che hanno bisogno di essere verificate. Per ogni presunta fake news sul coronavirus segnalata dagli utenti su WhatsApp e opportunamente verificata, vengono condivisi sul dettagli e approfondimenti sul sito di Facta.

Facta è firmataria dei Poynter International Fact Checking Principles, che è partner di Facebook in Italia dal 2018, nell’ambito del programma globale di fact-checking dell’azienda.

Poynter Institute è una società americana leader nel settore del giornalismo che ha sviluppato un’unità chiamata “International Fact-Checking Network”. Essa ha promosso il primo International Fact Checking Day il 2 aprile 2017 ed il primo Global Fact-Checking Summit.

Da queste premesse l’iniziativa di Facta sembrerebbe un’ottima iniziativa, se non fosse che a finanziare il Poynter Institute troviamo il gotha del mondialismo e delle élite tecnocratiche: la crescita della rete è stata infatti finanziata con una donazione di 11.3 milioni di dollari da parte della Open Society del finanziere George Soros, preceduta nel 2015 dalla donazione di un altro milione di dollari da parte dell’imprenditore e filantropo Craig Newmark.

Non può che sorgere un dubbio sulla imparzialità di questa delicata operazione di controllo associata a una società esterna finanziata dagli architetti del mondialismo.

Tra i maggiori sostenitori del Poynter Institute, spiega Roberto Vivaldelli, oltre alla Open Society, “ci sono la Fondazione di Bill & Melinda Gates, Google, e la Omidyar Network del fondatore di Ebay Pierre Omidyar. Avranno interesse questi soggetti a far si che sui nostri social network siano le segnalate, in modo del tutto oggettivo, bufale e notizie non fondate? Sarà davvero un’operazione “trasparente” come sostiene il patron di Facebook Mark Zuckerberg? Qualche perplessità rimane”.

 

Chi controlla i controllori?

A evidenziare i palesi problemi di conflitti di interessi tra i fact checkers, i loro sponsor e la politica è anche Luca Donadel che vi ha dedicato diversi video e che è finito più volte nel mirino dei debunkers.

Invece di essere indipendenti e quindi di poter lavorare in maniera obiettiva, imparziale e trasparente, la collusione tra finanziamenti di poteri forti, progressisti e lobbisti è talmente sfacciata da creare qualche dubbio in merito ai veri obiettivi che si pongono i fact checkers e i debunkers. Nel momento in cui costoro vengono finanziati da certi rappresentati del mondo politico e della tecnocrazia, diventa difficile credere che possano lavorare in maniera imparziale, senza sottostare alle pressioni dei loro sponsor.

Sarà per questo, si chiede Donadel nel video “Chi controlla i controllori?“, che Facebook non si preoccupa di censurare tutti quei contenuti che violano palesemente gli “standard della community”, come per esempio, la pagine di jihadisti che inneggiano alla guerra santa o quelle pagine relative alla sponsorizzazione degli scafisti?

Perché il famoso social non oscura i tanti contenuti pericolosi che ospita la piattaforma ma censura immediatamente qualunque post critichi il pensiero unico?

Il concetto di hate speech, inoltre, spiega Donadel, è un artifizio ideologico vago e pericoloso che può essere facilmente strumentalizzato di volta in volta, a seconda degli interessi che si vogliono perseguire: così gli algoritmi del social di Zuckerberg si focalizzano a silenziare i contenuti razzisti contro i neri ma non contro i bianchi, in una moderna forma di bipensiero orwelliano.

Invece di proteggere tutti i cittadini dall’odio e dalla violenza dei social, si tutelano soltanto delle precise minoranze, riecheggiando il vecchio motto de La fattoria degli animali: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri“.

 

La querela di Amodeo a Butac

Per screditare un ricercatore e le sue teorie vengono usati tutti i mezzi possibili, compreso l’attacco personale e la strumentalizzazione di qualunque cosa possa tornare utile alla causa. Principalmente, la teoria scomoda verrà bollata come paranoica, complottista e bugiarda:

Lo scopo è quello di rendere insensata, folle, la teoria scomoda che si vuole denigrare e fare apparire un pazzo bugiardo chi la promuove.

Un esempio è il caso di Francesco Amodeo che ha recentemente dichiarato di aver deciso di querelare il sito Butac.

Scrive Amodeo sul suo sito:

“Nella mia lunga attività sul web ho subito diversi attacchi, sempre mirati a far crollare la mia immagine e la mia credibilità a causa dei temi che tratto nelle mie inchieste. Non ho mai querelato nessuno, ho semplicemente smascherato le falsità raccontate e messo in evidenza l’intento di colpirmi. […] Avrei potuto usare la stessa prassi anche per l’attacco subito dal sito Butac, acronimo di “Bufale un tanto al chilo”, ma in questo caso sono stato costretto a querelare e a costituirmi per il risarcimento dei danni subiti.

Ho dovuto farlo perché mi sono reso conto che dietro il sito Butac e dietro il sito Bufale.net – che ha subito condiviso l’attacco dei colleghi contro la mia persona – si potrebbe celare un vero e proprio strumento contro la libera informazione sul web. Se così fosse sarebbe una cosa pericolosissima, soprattutto alla luce del fatto che gli autori di quei siti trovano sponda nelle istituzioni politiche e nei media mainstream”.

Amodeo racconta inoltre che

“chi mi attaccava, inventando fake news, era proprio colui che sui giornali dipingono come uno che le fake news dovrebbe smascherarle“.

 

Le tecniche per screditare i giornalisti indipendenti

Quanto evidenziato è comune a molti ricercatori che vengono attaccati da un sito di debunking, la notizia poi viene ripresa dai quotidiani e fa il giro del web macchiandone la reputazione. Non solo perché rimbalzerà poi sui social portando a una forma di bullizzazione e persecuzione del malcapitato, come ha spiegato Silver Nervuti in questo video.

Ciò avviene sia attraverso semplici e risapute operazioni di censura di verità ritenute scomode per l’establishment, sia tramite la più classica delle fallacie “classiche”: l’argumentum ad hominem. Attraverso l’utilizzo del linguaggio, infatti, si squalifica, in partenza, la persona refrattaria alle verità di regime, inserendola in un frame (“cornice”) negativo e denigratorio, in modo da infamarla e comprometterne la reputazione e l’autorevolezza agli occhi dell’opinione pubblica.

 

La tecnica del frame

Si crea, come anticipato, una cornice negativa, per esempio quella sempreverde del “complottista” o del “no vax”: tutto quello che vi viene fatto rientrare, vi appartenga o meno non importa, sarà visto dall’opinione pubblica come qualcosa di pericoloso da cui stare alla larga.

Durante il dibattito sul Covid-19, per esempio, si sono utilizzate diverse tecniche per inibire il confronto e dileggiare coloro che contestavano alcune misure repressive o la narrativa catastrofistica, arrivando ad additare costoro come ciarlatani o rincretiniti nel caso di medici o scienziati (si pensi ai casi del prof. Giulio Tarro o del premio Nobel Luc Montagnier), di negazionisti (es. il caso Bocelli), terrapiattisti e ovviamente complottisti (che poi i complottisti, citando Giulietto Chiesa, dovrebbero essere coloro che ordiscono complotti, non che li studiano per svelarli).

La propaganda vuole rassicurare l’opinione pubblica del fatto che non sono mai esistiti e non esistono trame occulte né complotti e che chi diffida della ricostruzione ufficiale di alcuni eventi allora sarà un pazzo cospirazionista da scolapasta in testa.

 

I mastini del pensiero unico

Come se non bastasse, esistono anche i registri di proscrizione di svariate associazioni (gli albi, in cui sono liberamente inseriti i nomi di coloro che vengono ritenuti “omofobi”, “antisionisti”, e pertanto “antisemiti”, “razzisti”, “fascisti”, ecc.): un altro modo per affibbiare un’etichetta e screditare quella persona, da parte di collaboratori del potere.

In definitiva,

i debunkers strumentalizzano il dilagare di bufale sul web per portare alla creazione di una informazione certificata e all’approvazione di disegni di legge contro la disinformazione, il cui vero obiettivo, però, è quello di legittimare la censura.

Ma censurare il web, quando è proprio il potere a manipolare per primo l’informazione, a fare propaganda e a diffondere fake news, rende palese come il pensare di epurare i contenuti in Rete sia tanto ipocrita quanto un progetto strumentale a mantenere l’infallibilità del sistema.

Se dovessimo censurare, multare o arrestare coloro che mentono, i primi a farne le spese dovrebbero essere alcuni giornalisti del mainstream e molti, molti politici; così come se dovessimo multare i primi che fanno cyberbullismo, tra debunkers e troll, finirebbero nei guai molti personaggi prezzolati o vicini alle stanze del potere.

 

Per ulteriori approfondimenti guarda questi video:

CHI SONO DAVVERO I CACCIATORI DI BUFALE? – Matteo Gracis

Enrica Perucchietti