Le manifestazioni di opposizione alla costruzione del Tav in Val di Susa non si fermano, sebbene i governi che si sono succeduti nei decenni abbiano stabilito che non sia possibile un confronto tra le parti. Non importa, perché i valligiani si oppongono da 30 anni alla costruzione della linea ad alta capacità e non intendono retrocedere nemmeno dinanzi alla repressione degli ultimi giorni.
La mobilitazione contro la costruzione della linea ad alta velocità non prosegue infatti per mero principio o antagonismo, ma per la difesa di un territorio. Solo chi ha avuto modo di conoscere da vicino i militanti sa che si tratta di una comunità che ha consolidato un movimento di resistenza popolare. Il Movimento No TAV costituisce di fatto un modello di aggregazione popolare e organizzazione dal basso che altri movimenti sociali sul territorio hanno adottato negli anni: dal No Muos al No TAP e molti altri.
Perché il motto storico dei No Tav che risuona nella valle e che ha ispirato molti altri militanti è: A sarà düra! Un grido di orgoglio e di amore incondizionato per la propria terra.
La convinzione del movimento No Tav è, infatti, che il supertreno si possa ancora fermare, nonostante nei decenni la loro voce sia stata spesso spezzata, impedendo di risuonare dalla Valle al resto del Paese.
Da Venaus a oggi
Forse non tutti ricorderanno quanto accaduto nel lontano 2005 a Venaus: l’8 dicembre 2005 decine di migliaia di persone invasero i terreni dove sarebbe dovuto nascere il cantiere della Torino-Lione imponendo lo stop ai lavori in quell’area.
La reazione fu violentissima, con una carica della polizia e dei carabinieri contro i presidi No Tav, sempre a Venaus.
La repressione non fu solo violentissima, ma indegna di un Paese civile. Come denunciato da Alberto Perino, uno dei coordinatori dei comitati spontanei sorti per contestare il progetto dell’alta velocità, le cariche colpirono
«chiunque si trovasse loro davanti, comprese le donne e anziani. Nessuno di noi ha reagito».
Politica e media contro la protesta No Tav
Politica e gran parte dei media di massa hanno volutamente plasmato l’opinione pubblica riguardo a quanto avviene in Valle, diffondendo l’idea che sia necessario realizzare l’opera, definita “strategica”. Puntando esclusivamente a esaltarne i lati positivi e nascondendo con abilità le ragioni del NO, coloro che fiancheggiano il sistema hanno creato un “frame” che è divenuto negli anni sempre più monolitico, dipingendo il movimento No Tav come una manica di violenti, facendo finta di non sapere che anche al suo interno professori e tecnici hanno offerto studi, spunti di riflessione e critiche asprissime ben documentate, supportate da dati scientifici sulla dannosità dell’opera in Val di Susa.
Insomma, se dalla parte dei No Tav ci si attrezza con manifestazioni pacifiche, proteste anche violente e argomenti scientifici alla mano, da quella del governo l’intenzione sembra quella di intensificare il controllo e proseguire con i lavori.
San Didero: attivista ferita da un lacrimogeno
Come noto, gli scontri tra attivisti No Tav e la polizia hanno portato sabato 17 aprile al grave ferimento di Giovanna Saraceno, storica militante No Tav pisana, colpita al volto da un candelotto, in prossimità dell’area del cantiere dell’autoporto di San Didero e ricoverata d’urgenza presso l’ospedale Molinette di Torino.
Gli attivisti hanno denunciato la violenta reazione delle forze dell’ordine e il fitto lancio di lacrimogeni ad altezza uomo che sarebbe avvenuto anche in altre occasioni.
Gli attivisti contestano la ricostruzione della questura
La ricostruzione della questura, infatti, è stata messa in discussione da due video riguardanti la giornata di proteste in cui Giovanna è stata ferita. Nel primo si vede un agente di polizia puntare il lancia lacrimogeni e sparare ad altezza d’uomo in una manovra evidentemente volontaria; nel secondo video si sente invece un agente che, ripreso mentre parla con i suoi colleghi, afferma: «Sì, gliene ho tirati due in faccia sulla strada».
Durante una conferenza stampa tenutasi l’indomani, domenica 18 aprile, gli esponenti del comitato No Tav hanno infatti condannato la reazione spropositata della polizia:
«Troviamo inaccettabile questo comportamento così come troviamo inaccettabile la scelta di violenza praticata e perpetrata dalle forze dell’ordine ogni volta che la popolazione valsusina decide di opporsi ai cantieri dell’alta velocità […] è inaccettabile che le forze di polizia, in uno stato democratico, violino ogni convenzione dei diritti umani partendo dalla privazione del diritto di manifestazione arrivando a sparare ad altezza uomo lacrimogeni al CS che ricordiamo essere vietati dalla convenzione di Ginevra».
La preoccupazione di Amnesty International
Su questo punto è intervenuta anche Amnesty International Italia che, in attesa di valutare quanto la Questura di Torino riferirà sulla dinamica dell’episodio, ha espresso la sua forte preoccupazione tramite il portavoce dell’organizzazione, Riccardo Noury:
Già nel 2012 l’attivista Patrizia Soldati, nata e cresciuta nella valle, cuoca in un asilo nido e a domicilio, spiegava che
L’occupazione della sede di Repubblica
La Redazione ha concesso loro un incontro, ma, secondo il racconto dei manifestanti, molti di loro sono stati bloccati all’interno proprio dalle forze dell’ordine.
L’intento di questa azione dimostrativa era portare un documento con 10 quesiti da porre al Presidente Draghi, uno tra questi: