Dalla censura social allo psicoreato orwelliano: se Big Tech decide chi può parlare

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Nel breve saggio La libertà di stampa, George Orwell osservava che

«se si incoraggiano i metodi totalitari, può venire il giorno in cui essi saranno usati contro chi li incoraggia, e non più a favore».

Allora era in gioco una «cieca lealtà all’URSS» che, per difendere gli interessi dell’URSS, avrebbe accondisceso non solo a «tollerare la censura, ma anche una deliberata falsificazione della storia».

Sebbene i protagonisti siano cambiati, la situazione sembra essere rimasta la stessa: oggi gli interessi da tutelare sono quelli della tecnocrazia e dell’algocrazia e, complice l’emergenza sanitaria, siamo tornati a mettere in dubbio non solo la libertà di stampa, ma persino la libertà di pensiero.

Da qua la censura che si sta facendo ogni giorno sempre più spietata. Come come luogo preferenziale ha trovato le piattaforme private della Silicon Valley: dopo la sospensione dell’account Twitter di Donald Trump, la limitazione temporanea del quotidiano Libero per “attività sospette” e l’oscuramento della app Parler il mondo della politica, del giornalismo e l’opinione pubblica sembrano spaccati, tra chi plaude queste iniziative  liberticide e anti-democratiche e chi, come Massimo Cacciari ne denuncia la “manifestazione di una crisi radicale dell’idea democratica“.

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Minaccia con pugnale insanguinato? Per Twitter non è violenza

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I social media si dichiarano sempre più attenti alla tutela degli utenti dalle intimidazioni, dalle discriminazioni e dalle fake news perché, sostengono, vogliono che la rete sia un posto migliore. Vegliano così tanto sulle nostre vite virtuali che sempre più frequentemente, in particolare nell’era Covid, molti account vengono sospesi perché osano esprimere pareri su temi di salute pur non essendo dei medici, o meglio ancora degli “scienziati”. Sono così scrupolosi nel controllo dell’attendibilità delle notizie da gettare dubbi persino sulle dichiarazioni del primo cittadino degli Stati Uniti, come ha fatto Twitter con le dichiarazioni di Trump sulle frodi nelle recenti elezioni americane. D’altronde lo scontro tra Donald Trump e il social network non è certo nuovo, già a maggio 2020 aveva segnalato due post del presidente Usa in merito al rischio di brogli nel voto via posta in California. All’immancabile reazione del tycoon, il ceo Jack Dorsey, personaggio eccentrico della Silicon Valley, noto per il suo look e le sue passioni stravaganti, si era assunto la responsabilità delle proprie azioni, affermando in modo risoluto “Continueremo a segnalare informazioni errate o contestate sulle elezioni a livello globale”.

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Propaganda, censura e debunking: come il Potere manipola e orienta l’opinione pubblica

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Il controllo totale della società

Negli ultimi mesi si è parlato molto 1984, a riguardo delle derive sociali che sono state adottate anche nel nostro Paese sull’ondata dell’emergenza sanitaria e che hanno spinto diversi giornalisti e ricercatori a un parallelo con la società distopica immaginata da George Orwell.

Tra i punti in comune tra l’attualità e 1984 troviamo: una politica basata sulla paura, l’odio, la solitudine e il sospetto, la delazione e la creazione di task force e di una Commissione parlamentare sulle fake news che riecheggiano l’operato del Ministero della Verità orwelliano (Miniver in neolingua).

Nella società descritta da Orwell, infatti, il controllo è totale in quanto i colleghi del protagonista, Winston Smith, che lavorano presso il Miniver, si occupano di falsificare la storia seguendo l’adagio del Partito,

«Chi controlla il passato […] controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato».

 

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Propaganda o informazione? Il Decreto Rilancio “premia” le emittenti che trasmetteranno spot sull’emergenza sanitaria

Politics Journalism

Nutrire i giornalisti di notizie preconfezionate

Esiste una regola aurea dell’ingegneria sociale che insegna a nutrire i giornalisti di notizie preconfezionate: l’inondazione di informazioni serve, da una lato, a distrarre i giornalisti da notizie che potrebbero risultare scottanti, dall’altro ad abituarli a dipendere o addirittura a sottostare a certe dinamiche e a specifiche linee editoriali.

Ogni redazione giornalistica fa infatti ricorso alle notizie preconfezionate, in misura più o meno importante a seconda del proprio numero di collaboratori e del tempo a disposizione da dedicare alla ricerca di informazioni. Dalle redazioni locali in poi, sono sempre più numerosi i giornalisti che, per mancanza di tempo e non necessariamente con malizia, utilizzano del materiale “preconfezionato” per loro da spin doctors  o da uffici stampa (pensiamo alle cartelle stampa che vengono copiate come se fossero agenzie di stampa), utilizzando persino materiale audio-video già montato. Anche per questo motivo, le notizie che leggiamo o ascoltiamo sono quasi sempre le stesse e trattate in modo simile (soprattutto in TV).

Il linguista George Lakoff ha spiegato dalle colonne del «Guardian» come gli esperti di marketing e i pubblicitari conoscano bene questi meccanismi nel campo della comunicazione, mentre la maggior parte dei giornalisti non sa come distinguere né affrontare i tentativi di manipolazione.

 

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